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Vi siete mai chiesti perché l’iconica Parola, la lampada studiata da Piero Castiglioni e Gae Aulenti per Fontana Arte negli Anni ’80, si chiama così? O come è stato illuminato lo storico Hotel Papadopoli, la casa del Tiepolo a Venezia, tra i pochi hotel 7 stelle al mondo? Lo abbiamo chiesto a Piero Castiglioni che abbiamo intervistato nel suo studio a Milano.

Piero Castiglioni mi riceve in quello che, fin dal 1972, è il suo studio storico e inizialmente anche sede della collaborazione con il padre Livio Castiglioni. Un seminterrato in zona quasi centrale a Milano che mi colpisce per le caratteristiche lastre in gomma a bolli nerofumo, sì, quelle storiche dei pavimenti delle Linee 1 e 2 della Metropolitana Milanese degli inizi, progettate da Marco Albini, Antonio Piva, Franca Helg.

La parete dietro la scrivania dell’architetto (vedi foto in apertura) è piena di oggetti storici in particolare radio appartenenti alla collezione del padre Livio, uno dei primi radioamatori italiani, e poi ampliata da Piero. Oltre alle radio, anche televisori, giradischi, telefoni e apparecchi di illuminazione. Ed è un’emozione pensare che lampade di design tra le più iconiche del nostro tempo e che progetti illuminotecnici dei più importanti musei al mondo, e anche di uno dei pochissimi hotel 7 stelle, l’Aman Venice nel Palazzo Papadopoli a Venezia, siano nati proprio qui, nello studio di via Presolana a Milano. Mi accolgono la responsabile della comunicazione Viola Fumagalli, Mauro Zani, ingegnere e lighting designer e Giulia Chinello, architetto paesaggista, ma anche la dolcissima Simba, una Rhodesian Ridgeback di 7 anni, moscotte dello studio e sempre presente.

we. Architetto, da elettricista a lighting designer, come si è evoluta questa professione?

All’inizio c’erano gli impiantisti che però non potevano avere una competenza specifica nell’illuminazione dal momento che si occupavano un po’ di tutto nel settore impiantistico. È negli Anni ‘80 che si incomincia a delineare la figura del lighting designer. Io ho iniziato un po’ prima, negli Anni ’70, da autodidatta. All’inizio non c’erano scuole, poi ho contribuito io formando i primi lighting designer con i master al Politecnico di Milano. Ora è una disciplina molto seguita perché la luce è fondamentale nella percezione di un progetto. La luce è materia, come il ferro, il cemento, il vetro, ma il progettista, l’architetto, non la riesce facilmente a manipolare. La luce è emozione, è un rapporto di chiaro scuri, un dialogo con le ombre. È un dare e un avere; è una disciplina che richiede una preparazione enciclopedica, bisogna conoscere tutte le soluzioni proposte dal mercato e quando non ci sono progettarle ex novo. Io, per esempio, non sono un designer, sono un lighting designer, ma, quando non trovo quello che mi serve, me lo disegno.

Aman Venice a Palazzo Papadopoli. Il progetto di illuminazione interna ha previsto la rifunzionalizzazione dei lampadari storici con l’integrazione della tecnologia più recente delle sorgenti di luce. ph. ©R&S Engineering

we. Cosa chiede un progettista a un lighting designer?

Generalmente siamo noi a suggerire soluzioni illuminotecniche anche perché ci sono alcuni aspetti tecnici di cui un interior decorator può non essere a conoscenza come per esempio i ritmi circadiani. Noi diamo dei suggerimenti ma nello stesso tempo anche i progettisti architettonici e di interior danno suggerimenti a noi. Un progetto non viene mai fatto da un’unica persona ma a più mani, grazie all’interazione di più persone con competenze diverse. Paragono spesso il nostro lavoro alla realizzazione di un film. Per fare un buon film ci vogliono un buon registra, buoni attori, bravi truccatori e costumisti e, soprattutto, ci vuole un produttore che investe. Nel nostro caso il committente.

we. Luce e sostenibilità. Cosa ne pensa?

Il risparmio energetico è un tema molto importante. L’energia ha un peso sociale, ha un costo che qualcuno paga: lo Stato, e quindi noi, oppure il privato e quindi ancora noi. Il risparmio energetico va fatto. Ma promuovere la salvezza del pianeta risparmiando sulla luce non ha senso. Una lampadina non salverà il mondo. L’energia elettrica rappresenta il 10 per cento dell’energia che consumiamo e la luce è il 7 per cento dell’energia elettrica. Quindi il 7 per mille e il più della metà, circa il 4 per mille, è costituito dall’illuminazione pubblica che è già a risparmio energetico perché realizzata con lampade oggi a LED e una volta al sodio o a ioduri metallici. Riuscendo anche a dimezzare questo valore e quindi portandolo a un 1,5 per mille inciderà sempre molto poco sul risparmio complessivo.

we. Luce e hospitality. Ci racconti come interviene nei progetti di lighting nel settore dell’hôtellerie.

Noi dobbiamo fare cose che funzionino, che siano pratiche e che rimangano nel tempo. Prima l’etica e poi l’estetica. Una cosa deve funzionare, se è bella ancora meglio (ma non dico che gli interior non facciano questo). Molto spesso in Italia, ci troviamo a confrontarci con situazioni storiche, con palazzi in cui siamo ospiti e nei quali dobbiamo muoverci con rispetto. Come, per esempio, per il progetto di illuminazione del Palazzo Papadopoli a Venezia, la casa del Tiepolo, trasformato in un hotel 7 stelle dal gruppo di resort extra lusso Aman su progetto dello Studio Denniston fondato dell’architetto belga Jean-Michel Gathy. In questo caso il progetto illuminotecnico era strettamente condizionato dal contesto con l’obiettivo di valorizzare l’ambiente e il restauro dell’edificio.

we. Avete di recente concluso il progetto di illuminazione del nuovissimo hotel Six Senses nel quartiere di Brera a Milano. Raccontateci questa esperienza.

Risponde Marco Petrucci. Lighting designer dello Studio Piero Castiglioni.

Il progetto di interior del Six Senses a Milano è stato realizzato dallo studio londinese Tara Bernerd. Noi come studio di lighting design siamo stati chiamati direttamente dal proprietario dell’edificio che è il Gruppo Statuto. Da Six Senses abbiamo ricevuto indicazioni per quanto riguarda i valori in lux che dovevano avere gli ambienti e ci siamo mossi su questo. Dando anche alcuni suggerimenti in merito, perché non è detto che poi troppa luce sia garanzia di un buon risultato. Ma abbiamo anche dato alcuni consigli molto pratici, come per esempio non abbondare nell’uso di lampade ricaricabili da tavolo che, appunto, devono essere ricaricate e che necessitano di uno spazio apposito ma anche di personale che deve movimentarle.

Nel settore hospitality è fondamentale creare un’experience e la luce è particolarmente indicata allo scopo. Abbiamo creato degli scenari luminosi, da quello di “benvenuto”, caratterizzato da una luce discreta, che consente il passaggio graduale dal corridoio alla camere, allo scenario “notturno” dove la luce guida gli ospiti verso gli ambienti desiderati. Al piano terra, dove si trovano gli spazi comuni con la reception e la hall, la luce crea una lettura degli spazi e delle sue gerarchie. Sempre al piano terra c’è il ristorante dove il tema del comfort luminoso è una delle chiavi di lettura. L’illuminazione contribuisce al dialogo e a evidenziare la texture dei materiali selezionati per le diverse zone.

we. Quali sono i progetti ai quali è più affezionato?

Sono i lavori più difficili quelli che ti danno più soddisfazione. Ho progettato la luce di 57 musei nel mondo, che sono i progetti illuminotecnici più complicati. E il più complicato di tutti è stato il primo, il Musée d’Orsay a Parigi, una stazione ferroviaria trasformata in un museo, due architetture già di per sé importanti e difficili da fare dialogare tra loro. Per volontà della progettista, Gae Aulenti, e del conservatore capo del Museo del Louvre, gli apparecchi di illuminazione non si dovevano vedere, dovevano scomparire nell’architettura. E così abbiamo fatto. L’architettura è diventata lei stessa corpo illuminante. La luce è stata nascosta in gole lungo il perimetro delle pareti.

Musée d’Orsay. Modellino in scala 1:10. Luce nascosta. ph. Studio Piero Castiglioni.

Sempre con Gae Aulenti ho progettato la lampada Parola per FontanaArte. Nel design non ho mai avuto grandi difficoltà ma questo è un classico esempio di un oggetto che non c’era, mancava, e per questo l’ho progettato. È stato tra i primi incontri con FontanaArte che utilizzava principalmente il vetro di Murano. Ma non esiste solo il vetro di Murano, per questo nella Parola abbiamo utilizzato tre diversi tipi di vetro. Il vetro in lastra per la base, il vetro pirex molto resistente per lo stelo e poi il vetro di Murano per la calotta sferica tagliata. E non poteva avere un cavo in plastica dal momento che il cavo è a vista, quindi abbiamo pensato a un cavo rivestito in tessuto. E così è nata Parola. Tutto qui.

we. Perché l’avete chiamata Parola?

Perché è nata parlandoci, io e Gae Aulenti. Il mio amico Vico Magistretti sosteneva di avere fatto i migliori progetti al telefono, parlando. E Parola è nata così, perché io e Gae ne abbiamo parlato e abbiamo deciso come doveva essere fatta… a parole. Prima ancora di bruciare l’idea sulla carta, in un disegno. E così è accaduto anche per Cestello. L’Aulenti voleva una batteria di lampade per il museo di Palazzo Grassi. E le dissi: ‘Gae, hai presente quei cestelli dove si mettono le bottiglie?’. Al posto delle bottiglie abbiamo però inserito lampade orientabili.

Durante un convegno a Roma, alcuni ragazzi mi chiesero qual è il segreto di un buon progetto. Leggere molti libri. Leggere aiuta a scrivere e a parlare. La parola, il verbo, sia scritto che parlato, ha la prevalenza su tutto. L’uomo è diventato Sapiens quando ha incominciato a esprimersi. Prima era solo Erectus.

Il segreto per un buon progetto? Leggere molti libri.

we. Al designer di Sillaba, chiedo cosa ne pensa del difficile rapporto tra LED e materiali come il vetro.

Il LED ha già in sé tre caratteristiche positive: consumo energetico molto basso, ciclo manutentivo estremamente vantaggioso rispetto a lampade tradizionali – una lampada a LED ha una vita di oltre 60000 ore rispetto a una lampada tradizionale che dura 1000 ore -, facilità di smaltimento in quanto è composto da sostanze inerti, a differenza invece di quasi tutte le lampade a scarica che contengono mercurio. Inoltre il LED scalda molto poco e questo evita di scottarsi toccando il corpo di una lampada accesa da tanto tempo [e mi mostra la lampada Minibox, studiata sempre con Gae Aulenti, per Stilnovo, che inizialmente era stata realizzata con un anello in gomma per evitare di scottarsi nel momento in cui si spostava il supporto calamitato della lampadina]. Sono sempre stato molto affascinato dalla gestione della sorgente e la lampada Scintilla ne è la riprova: un’alogena nuda che esalta la sorgente luminosa. E, in parallelo, a proposito di LED e vetro, ho studiato Higgs, prodotta da Promemoria, una elegante matassa di strip LED neri all’interno di una calotta in vetro trasparente, che ricorda il bosone di Higgs da cui il nome. Anche in questo caso una sorgente luminosa lasciata volutamente a nudo.

we. Al designer di Canna, cosa ne pensa della scelta di utilizzare la luce al di là del suo valore emozionale e funzionale ma solo come decorazione?

La luce può essere anche solo decorativa. Può valorizzare solo sé stessa.

Io ritengo che uno degli elementi da cui non dobbiamo mai avere oblio sono i grandi lampadari. A Murano se ne fanno ancora di stupendi. I lampadari continuano ad avere il loro valore, quel brillio che fa sì che gli americani lo chiamino sparkling light, luce frizzante. La Canna Nuda può anche essere vista come un elemento di un grande lampadario. Per esempio nella hall del Teatro di Pays d’Aix, con Vittorio Gregotti, ho inserito Canna Nuda in sequenza come a formare proprio un grande lampadario.

we. Quali potenzialità intravede nelle nuove tecniche di produzione? Sto pensando per esempio a lampade stampate in 3D.

La tecnologia ci aiuta molto. Mio nonno che era uno scultore [Giannino Castiglioni ha realizzato oltre 60 tra tombe e cappelle al Cimitero Monumentale di Milano e diversi monumenti ai caduti nel nord Italia], mio padre e i miei zii [Achille e Pier Giacomo Castiglioni] usavano i gessisti del nonno per fare i modelli. Lo zio Achille, all’università, una volta ha fatto un modello di un edificio addirittura con una forma di fontina.

we. A proposito della sua famiglia, che ha fatto la storia dell’architettura e del design per oltre 70 anni e ancora continua a farla con lei, cosa ha imparato?

L’ironia. Bisogna sempre progettare divertendosi. Da ragazzini si andava nello studio degli zii e di mio padre perché c’erano più giochi che a casa. L’ironia è sempre parte di un buon progetto. Mio padre, i miei zii facevano progetti seri in maniera ironica e divertente. Molti dei loro colleghi facevano cose ridicole in maniera seriosa.

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In apertura: Piero Castiglioni nel suo studio, con alle spalle la collezione di radio iniziata dal padre, Livio Castiglioni, tra i primi radioamatori in Italia. ph. Studio Piero Castiglioni.