Dal mitico Studio ’54 al mondo alberghiero. Non capita tutti i giorni di incontrare – anzi, di essere accolti – da un mostro sacro dell’ospitalità come Ian Schrager. Un uomo che ha scritto una pagina importante della storia dell’ospitalità.

Ian Schrager ha attraversato mezzo secolo vivendolo in prima persona, senza perdere la voglia di aggiornarsi e sperimentare. Forse è proprio per questo che, anche oggi che ha settant’anni, non ha perso un briciolo di entusiasmo e riesce a essere un professionista perfettamente calato nel suo tempo e a interpretare i gusti e le tendenze di un’intera società. Qualche tempo fa lo abbiamo incontrato nel suo studio di Greenwich Street, a New York City. La sua accoglienza e il suo carisma ci hanno letteralmente travolti. Così ci siamo trovati a fare una chiacchierata di oltre un’ora, durante la quale ci siamo trovati di fronte a un fiume in piena, felice e appassionato nel parlare del proprio lavoro e dei propri progetti. Di cosa ci ha parlato? Di passato e di presente, di vecchie abitudini e nuovi bisogni, di sogni e condivisioni. Ma soprattutto del suo amatissimo progetto: il Public Hotel. Un hotel da vivere in libertà e che promette lusso accessibile a tutti.

Il Public Hotel di New York City

Mr Schrager, dal leggendario Studio 54 al mondo dell’hotellerie: quanto è stata importante quell’esperienza? È rimasto qualcosa di essa nella tua idea di ospitalità?
Quella dello Studio54 è stata un’esperienza che, anche se non strettamente collegata con il business del turismo, aveva molto a che fare con l’ospitalità. In quegli anni allo Studio54 si respirava un’atmosfera di magia che ho cercato di portarmi dietro in tutti i miei progetti futuri. Era quell’atmosfera ad attirare il pubblico e i grandi personaggi che hanno amato il locale. L’aver vissuto questo tipo di esperienza mi ha dato un vantaggio su tutti gli altri. Innanzitutto ho mantenuto viva questa idea di intrattenimento, atmosfera e condivisione nei miei concept alberghieri. In secondo luogo, i grandi pregiudizi e le critiche subite a quei tempi da parte di certa stampa e opinione pubblica, mi ha insegnato quanto sia importante credere fino in fondo nei propri progetti e nelle proprie idee, a costo di pagare in prima persona.

Il boutique Hotel ha più di quarant’anni. Cosa è rimasto e cosa è cambiato rispetto al concept originale?
Il Boutique Hotel è cambiato nello stesso modo in cui è cambiato tutto. Come è cambiata la moda, come è cambiato il mercato automobilistico, come è cambiato il mondo del turismo, così è cambiato anche il Boutique Hotel. Quando sono nati i primi Boutique Hotels, non esisteva niente del genere, era un concetto di hotellerie completamente nuovo. Oggi innanzitutto è molto più difficile imporre nuove idee, in quanto sono state esplorate molte più frontiere e il mercato, in questo senso, si è notevolmente arricchito. In secondo luogo, la tecnologia ha portato dei cambiamenti tali nel comportamento umano – e di conseguenza anche negli ospiti dell’hotel – che nessun progetto potrebbe permettersi di non tenerne conto. Se il Boutique Hotel nascesse oggi, sarebbe sicuramente un brand molto legato alla tecnologia e alle tipologie di servizi più richieste dai turisti, che sono molto cambiate rispetto all’epoca. I brand nascono fortemente condizionati dal contesto sociale e se non sanno adeguarsi, rinnovarsi e reinventarsi senza perdere la propria identità, sono destinati a scomparire.

Che cos’è per te il lusso?
Vendere lusso significa capire come si comporta il tuo target e offrirgli servizi dedicati. Il lusso è attenzione, tempo, disponibilità. Il lusso è emozionare l’ospite e farlo sentire speciale. È un concetto che ha subito molti cambiamenti nel tempo e di certo non è più esclusivamente una questione di denaro. Per questo il “Public” si propone di offrire una nuova tipologia di lusso adatta a tutti, con particolare attenzione ai servizi digitali.

Il Roof Bar del Public Hotel a New York City

È stato pensato per le esigenze dei Milennials?
No, quella dei Millennials è una categoria a cui non credo. Non credo si possano classificare i gusti e i comportamenti di una fetta di mercato così importante basandosi soltanto sulla componente anagrafica. Con “Millennials” si intendono più generazioni di persone, senza tenere conto di tante componenti: istruzione, abitudini, contesto sociale, provenienza. Il mercato è molto segmentato e i servizi digitali sono importanti per un pubblico trasversale. Io credo che alla base del Public ci sia un’idea di ospitalità molto importante: “Vivi l’hotel come vuoi”. E questa è un’idea che riguarda e interessa tutti, non soltanto alcune fasce d’età.

Hai lavorato con architetti di fama mondiale, in alcuni casi delle vere e proprie “star” del settore. È stato complicato lavorare con loro?
No. Anzi, è molto gratificante. Lavorare con persone creative arricchisce notevolmente. I grandi professionisti capiscono al volo le tue idee, le interiorizzano e riescono a trasformarle in progetti concreti. Si tratta di un circolo virtuoso dove vedi le tue idee prendere forma, arricchite da creatività ed empatia. È un processo molto affascinante e per me è stato un vero privilegio poterlo condividere con professionisti di altissimo livello.

Tutti gli hotel possono essere di design?
Questo succede sempre quando il mercato è favorevole in questo senso, quando il design è una tendenza che funziona. Non si può pensare di creare un design hotel concentrandosi esclusivamente sul fatturato. Si può realizzare un hotel di design se si conosce questo concept, se ci credi e se lo ami. Non è un settore sul quale sia possibile improvvisarsi in nome del business. L’idea di design deve essere contestualizzata e sposarsi perfettamente con l’idea di ospitalità, altrimenti non potrà mai funzionare.

Lo studio di Ian Schrager a Greenwich Street

Come immagini il mondo dell’hotellerie fra 20 anni?
Sarà un mondo smart, dove la tecnologia avrà un ruolo sempre più importante, ma non interferirà negativamente sui rapporti umani, anzi. La tecnologia renderà più semplice il lavoro e lascerà allo staff più tempo e spazio per dedicarsi alla soddisfazione degli ospiti e ai rapporti con loro.

Secondo te per quali tipologie di servizi oggi gli ospiti sono disposti a spendere di più?
Io credo che gli ospiti non siano mai felici di pagare di più, per quasi nessuna tipologia di servizi in senso stretto. Credo però che sempre di più percepiscano e desiderino valore. Gli ospiti mettono in secondo piano il prezzo se riescono a vivere esperienze di valore, che possono essere di vario tipo.

Quale fra i tuoi progetti ti sta più a cuore?
(ridendo) Tu sapresti dirmi qual è il preferito fra i tuoi figli?

Mauro Santinato, presidente Teamwork ed editore di we:ll magazine, insieme a Ian Schrager nel suo studio a New York City